Il Calderone Vol.10 – Untamed, I Delitti della Casa Decagonale, Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede, Stellar Circuits
Recensione a cura di Albyrinth - tutte le immagini sono copyright degli aventi diritto.
Mi scuso per la qualità amatoriale dell'immagine di testa, ma mi diverte un mondo fare queste immagini low-fi utilizzando programmi di editing volutamente col deretano.
Nota Importante: Questo articolo potrebbe contenere alcuni SPOILER minori riguardanti le opere recensite. Grazie.
Siamo ormai in autunno inoltrato e la sempre amabilissima strega questa volta deve lasciare per qualche istante il pentolone ribollente per imbracciare la fida scopa magica e spazzare via tutte le foglie ingiallite dall'ingresso della sua caverna, un lavoraccio! È arrivata quindi l'ora per un nuovo appuntamento con la rubrica minestrone, con quattro veloci recensioni: questa volta tocca a Untamed, un'interessante serie tv poliziesca ambientata nel parco di Yosemite, all'acclamato libro giallo giapponese I Delitti della Casa Decagonale di Yukito Ayatsuji, alla carinissima quanto sanguinosissima graphic novel Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede di Patrick Horvath, e, infine, a Phantom : : Phoenix, terzo album della band americana Stellar Circuits, dedita a un interessante progressive metal declinato in modo piuttosto moderno. Let's go!
Untamed (Stagione 1 - Recensione)
Parco Nazionale di Yosemite: una ragazza sconosciuta precipita dal picco più famoso del parco, El Capitan. A incaricarsi delle indagini è il ranger Kyle Turner (interpretato da Eric Bana), validissimo e tenace, ma anche scorbutico, poco rispettoso dell'autorità (a parte il capo ranger Paul, interpretato da Sam Neill) e con un passato alquanto tragico che l'ha portato ad attaccarsi un po' troppo alla bottiglia. Ad affiancarlo Naya Vasquez (interpretata da Lily Santiago), una giovane agente appena arrivata dalla città. L'indagine non è affatto semplice come pareva: quello che sembra essere un incidente o un suicidio, nasconde in verità una storia ben più intricata e complessa, collegata a un altro caso di vent'anni prima. Nel frattempo, Kyle dovrà venire a patti con il proprio lutto e senso di colpa, e affrontare le conseguenze di una devastante decisione presa anni prima.
Untamed era una serie con indubbie potenzialità: una location spettacolare e originale come il parco di Yosemite, un attore forse non troppo espressivo, ma dotato di indubbio carisma come Eric Bana, un intreccio accattivante e un cast generalmente azzeccato. Purtroppo ad affossare la serie è un difetto piuttosto importante: la pigrizia narrativa. A fronti di valori produttivi più che discreti, gli sceneggiatori non si prendono mezzo rischio, imbastendo un intreccio dove, dopo già le prime due puntate, si capisce quasi tutto: le allucinazioni del protagonista, l'oscuro segreto che lega Kyle, la ex-moglie e lo psicotico cacciatore Shane (interpretato da Wilson Bethel - a proposito, complimenti per la fantasia di avere ingaggiato l'interprete di Bullseye in Daredevil nel ruolo di un cecchino psicopatico, quando si dice il typecasting), il fatto che il passato dell'agente Vasquez tornerà presto a tormentarla e il fatto che un altro dei personaggi principali nasconda evidentemente un grosso segreto. Insomma, più che un prodotto di alto profilo, giriamo più nei territori delle tantissime serie tv fatte con lo stampino tratte dai libri di Harlan Coben, solo con budget più consistente; viene quasi da pensare che esista veramente il vociferato manualetto fornito da Netflix agli sceneggiatori con le linee guida per fare film e telefilm inclusivi, inoffensivi e senza spendere toppo, sia reale.
Aldilà di battute e leggende metropolitane, Untamed è un perfetto specchio della produzione media di Netflix: buoni valori produttivi (in questo caso a svettare è nettamente la fotografia eccezionale che rende pienamente giustizia alla location), cast azzeccato, regia competente, intreccio accattivante e buon ritmo. Intrattenimento di qualità discreta, che però non si prende mezzo rischio, scegliendo sempre la via più semplice evitando di mettere in difficoltà lo spettatore. Un vero e proprio peccato, se pensiamo che Netflix, nei suoi primi anni di vita come servizio streaming, era stato in grado di rivoluzionare lo scenario dell'intrattenimento con serie coraggiose e innovative.
Aldilà di battute e leggende metropolitane, Untamed è un perfetto specchio della produzione media di Netflix: buoni valori produttivi (in questo caso a svettare è nettamente la fotografia eccezionale che rende pienamente giustizia alla location), cast azzeccato, regia competente, intreccio accattivante e buon ritmo. Intrattenimento di qualità discreta, che però non si prende mezzo rischio, scegliendo sempre la via più semplice evitando di mettere in difficoltà lo spettatore. Un vero e proprio peccato, se pensiamo che Netflix, nei suoi primi anni di vita come servizio streaming, era stato in grado di rivoluzionare lo scenario dell'intrattenimento con serie coraggiose e innovative.
Untamed è una serie trasmessa in esclusiva in streaming su Netflix.
I Delitti della Casa Decagonale (Recensione del Libro)
Sette ragazzi universitari, tutti appartenenti a un circolo di appassionati di libri gialli e ognuno con un "nom de plume" ispirato a un grande autore del genere, decide di passare una settimana all'interno della Casa Decagonale, una particolarissima dimora costruita su una piccola isola rocciosa, accessibile solo attraverso un piccolo porticciolo. La casa era in realtà la dependance della villa dell'eccentrico architetto Seiji Nakamura, che, dopo avere commesso una serie di sanguinosi omicidi, si è suicidato dando fuoco alla villa stessa. Quando però i ragazzi cominciano a essere uccisi nella casa decagonale, il sospetto è che l'assassino sia uno di loro, rendendo il clima sempre più teso, dal momento che sono sostanzialmente in trappola su un'isola senza la possibilità di tornare sulla terra ferma. Nel frattempo, altri due membri (rimasti sulla terraferma) del circolo universitario ricevono una strana lettera che sembra provenire dal defunto architetto: i due iniziano a investigare, con il sospetto che l'architetto abbia solo finto la propria morte per continuare la sua folle vendetta.
Yukito Ayatsuji è un nome piuttosto noto in Giappone nella letteratura mistery per il suo approccio classicista, ma che in Italia è rimasto piuttosto sconosciuto, con un paio di adattamenti manga di sue opere (tra cui questo stesso libro) pubblicati da Star Comics. A colmare il vuoto, ci ha pensato lo scorso anno Einaudi con la pubblicazione de I Delitti della Casa Decagonale, primo libro del ciclo (composto da 9 romanzi) dedicati alle bizzarre creazioni architettoniche di Seiji Nakamura, pubblicato originariamente nel 1987. Il romanzo si presenta come un interessante ibrido: da un lato è piuttosto chiaro, sin dalla sinossi qua sopra, che l'intento principale sia omaggiare i capolavori del passato del genere giallo/mistery, e in particolare la "regina" Agatha Christie, ed è palese che il riferimento maggiore sia proprio il romanzo più noto della grande scrittrice, E poi, non rimase nessuno (in Italia meglio noto come Dieci Piccoli Indiani). Dall'altro lato si possono trovare elementi invece tipici dei libri gialli giapponesi, in particolare l'ossessione per architetture peculiari che nascondono segreti, la soluzione del mistero che risulta piuttosto contorta e il tema della connessioni inattese tra i personaggi.
Aldilà delle descrizioni, I Delitti della Casa Decagonale è un romanzo valido e appassionante: la struttura, con capitoli alternati ambientati sull'isola e sulla terraferma funziona bene, permettendo di gestire in modo accurato il ritmo e di costruire in modo brillante il mistero principale (l'assassino è uno dei ragazzi stessi o il redivivo architetto?). L'autore è bravo a mischiare bene le carte, evitando di dare troppi indizi sull'identità dell'assassino e mantenendo sempre l'ambiguità di fondo; anche il twist portante del romanzo, per quanto sicuramente un po' al limite della sospensione dell'incredulità, è credibile e rivelato al momento giusto. Per contro, ho trovato un po' troppo basilari le caratterizzazioni dei sette ragazzi sull'isola, basate su classici stereotipi caratteriali giapponesi, così come il fatto che la narrazione si faccia un po' compressa verso il finale, con gli ultimi omicidi che avvengono in poche pagine, in contrasto con il ritmo compassato della prima metà. Detto questo, I Delitti della Casa Decagonale è un volume interessante e riuscito, magari non originalissimo, ma sicuramente consigliato sia a chi ama i classici gialli del passato, sia a chi segue la letteratura mistery del Giappone. Speriamo che Einaudi decida di continuare a stampare gli altri libri di Yukito Ayatsuji del cosiddetto ciclo delle case bizzarre, perché sono sinceramente curioso di vedere cosa si è inventato l'autore.
[Nota: Come già accennato, l'adattamento manga di I Delitti della Casa Decagonale, presentato con il titolo inglese, The Decagon House Murders, è stato pubblicato qualche anno fa in 5 volumetti da Star Comics. Non ho ancora letto il fumetto, ma sarei curioso di capire come è stato adattato il twist principale del romanzo.]
I Delitti della Casa Decagonale è disponibile come volume e come ebook su tutti i principali store di libri online, oltre che ovviamente nelle librerie di varia. L'edizione italiana è stata curata da Einaudi nella collana Stile Libero.
Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede (Recensione)
Siamo in un mondo popolato da animali antropomorfi che coesistono con gli animali classici. 1986: nella piccola e pacifica comunità di Woodbrook vive Samantha Strong, una orsa cordiale e amichevole, molto amata della comunità. Quello che nessuno sa, è che Samantha ha una doppia vita segreta e, quando va a fare commissioni nella grande città, sceglie vittime a caso che poi uccide, disseziona e seppellisce nei boschi: insomma è una sanguinaria e fredda serial killer. Che però ha delle regole precise: tutti gli omicidi devono avvenire fuori da Woodbrook in modo che non possa essere in alcun modo collegata agli omicidi. Quando però a Woodbrook fa capolino un altro serial killer, Samantha dovrà indagare per capire chi sia e fermarlo, prima che la polizia inizi a ficcare il naso e finisca per scoprire il suo particolare "hobby".
Ha suscitato un discreto interesse la pubblicazione italiana da parte di Panini Comics di Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede [uscita in originale per IDW], la graphic novel che ha visto l'esordio come fumettista del regista e produttore indipendente Patrick Horvath: d'altronde il fumetto ha un "high concept" davvero potente. L'opera è infatti caratterizzata da disegni tipicamente associati a volumi per bambini, con le illustrazioni che citano chiaramente quelle dei libri di Richard Scarry e di Beatrix Potter. A questi disegni colorati e piacevoli si contrappone una trama estremamente dura e oscura, con un'utilizzo spinto dello splatter e scene decisamente inquietanti. Ma non solo: l'idea che, nell'universo narrativo del fumetto, coesistano animali "umanizzati" e normali animali, porta ad alcuni cortocircuiti davvero potenti e morbosi, soprattutto nell'episodio parzialmente ambientato all'interno di una macelleria. Non c'è dubbio che il concept di base sia il vero punto di forza del volume, graziato dalle illustrazioni di altissimo livello di Horvath, il cui unico difetto è nella colorazione (sempre opera dello stesso fumettista) un po' troppo invasiva, che, in alcuni momenti, finisce per coprire i dettagliatissimi disegni. L'autore è bravissimo a veicolare alla perfezione la dicotomia fondamentale della graphic novel e non lesina particolari quando c'è da mostrare il sangue e la violenza, con il tipico occhio voyeuristico del cinema splatter (e qui viene fuori la sua esperienza come regista di genere).
Dove invece Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede arranca è nella sceneggiatura. Innanzitutto c'è il problema di fondo del cercare di fare provare empatia nel lettore verso le disavventure di un serial killer freddo e spietato, tema che potrebbe risultare indigesto ai lettori più sensibili. Ma è soprattutto la gestione della trama a lasciare interdetti: la trama principale, quella che vede l'orso Samantha tentare di fermare il nuovo serial killer di Woodbrook prima di essere lei stessa scoperta, era valida, tesa e brillante, ma Patrick Horvath decide invece di rivelare l'identità dell'omicida troppo presto per virare sulla banale (e non così riuscita) svolta narrativa della sfida di astuzia tra due serial killer, per poi chiudere il tutto un po' troppo frettolosamente.
In conclusione, Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede è una graphic novel con diversi punti di interesse, in particolare un concept davvero originale e straniante, illustrazioni validissime e scene che colpiscono durissimo tra violenza, sangue e morbosità. La sceneggiatura, però, non è minimamente all'altezza delle idee e della parte grafica, finendo in territori banali e chiudendo il tutto in modo un po' affrettato e poco soddisfacente. Vedremo se Patrick Horvath riuscirà a limare questi difetti nell'atteso seguito del fumetto, Rites of Spring, in corso di pubblicazione negli States per IDW.
Tra gli Alberi Dove Nessuno Ti Vede è disponibile come volume nei maggiori store online di libri ed ebook in versione inglese (per IDW) e italiana, per Panini Comics. Il volume è anche disponibile in fumetteria e nelle librerie di varia, ovviamente.
Stellar Circuits - Phantom : : Phoenix (Recensione)
Avevo già messo gli americani Stellar Circuits nel mirino con il precedente Sight to Sound, attirato dalla peculiare unione di stilemi moderni derivati dal metalcore con melodie più ricercate, strutture più progressive e un cantato pulito chiaramente ispirato dall'immenso Maynard Keenan. Certo, il precedente lavoro mostrava ancora parecchie incertezze, tra un paio di filler di troppo e un songwriting che spesso si perdeva via, ma c'erano ottime potenzialità, soprattutto quando la formazione americana si dedicava maggiormente alle melodie.
Sono passati giusto un paio di anni ed ecco tornare gli Stellar Circuits con il terzo lavoro, Phantom :: Phoenix; le coordinate sonore rimangono suppergiù le stesse, quelle di un metalcore fortemente ibridato con strutture progressive con riferimenti che spaziano tra gli Architects dei tempi che furono, i Vola, i sempreverdi Deftones, i Gojira e, non ultimi, gli A Perfect Circle e non solo per il cantato pulito di Ben Beddick, ma anche per un certo gusto per le melodie e per i riff ipnotici. Un sound fatto di contrasti, come ben sintetizzato dalla discreta copertina che rielabora l'iconografia classica di Yin e Yang in chiave animalesca. Se è vero che l'ibridazione (anche estrema) con tanti generi differenti è attualmente una delle chiavi di successo per le band metal moderne (e il successo di Sleep Token e Falling in Reverse è qui a ricordarcelo), c'è ancora qualcosa che non funziona alla perfezione nella musica degli Stellar Circuits, spesso più preoccupati di inserire il maggior numero di generi differenti (ne è un buon esempio "Elegant Illusion" che unisce strutture progressive a un riffing che sembra provenire diretto dai cari vecchi Rage Against the Machine, con tanto di parti semi-rappate in un minestrone sonore un po' pacchiano) in un singolo brano che curare al meglio il pezzo stesso. A questo si aggiunge il fatto che le parti più squisitamente "core" non brillano né per originalità né per qualità intrinseca e risultano quasi essere il punto debole del sound della formazione statunitense.
Con queste premesse, potrebbe sembrare che Phantom :: Phoenix sia un fallimento, ma, in realtà, è un lavora che mette in mostra una maggiore maturità compositiva da parte degli Stellar Circuits, soprattutto quando la smettono di preoccuparsi di essere forzatamente iper-eclettici e si concentrano sul puro songwriting e sulle melodie. Ne escono così pezzi notevolissimi come l'ispiratissima e accattivante "Silhouette", l'esaltante e tirata "Corridor", "Same Page", forse il brano dove la scrittura è in perfetto equilibrio tra eclettismo e immediatezza, e la conclusiva "Paris" con le sue ritmiche nervose e l'ottimo cantato di Ben Beddick. Ma, in generale, tolti un paio di brani sottotono e qualche divagazione inserita un po' a forza, Phantom :: Phoenix risulta essere un lavoro piacevole e in buona parte riuscito. Manca ancora qualcosa prima di riuscire a fare il salto di qualità definitivo, ma le potenzialità rimangono ottime. Se amate le sonorità moderne e apprezzate una certa versatilità, date sicuramente un ascolto a questo lavoro.
Sono passati giusto un paio di anni ed ecco tornare gli Stellar Circuits con il terzo lavoro, Phantom :: Phoenix; le coordinate sonore rimangono suppergiù le stesse, quelle di un metalcore fortemente ibridato con strutture progressive con riferimenti che spaziano tra gli Architects dei tempi che furono, i Vola, i sempreverdi Deftones, i Gojira e, non ultimi, gli A Perfect Circle e non solo per il cantato pulito di Ben Beddick, ma anche per un certo gusto per le melodie e per i riff ipnotici. Un sound fatto di contrasti, come ben sintetizzato dalla discreta copertina che rielabora l'iconografia classica di Yin e Yang in chiave animalesca. Se è vero che l'ibridazione (anche estrema) con tanti generi differenti è attualmente una delle chiavi di successo per le band metal moderne (e il successo di Sleep Token e Falling in Reverse è qui a ricordarcelo), c'è ancora qualcosa che non funziona alla perfezione nella musica degli Stellar Circuits, spesso più preoccupati di inserire il maggior numero di generi differenti (ne è un buon esempio "Elegant Illusion" che unisce strutture progressive a un riffing che sembra provenire diretto dai cari vecchi Rage Against the Machine, con tanto di parti semi-rappate in un minestrone sonore un po' pacchiano) in un singolo brano che curare al meglio il pezzo stesso. A questo si aggiunge il fatto che le parti più squisitamente "core" non brillano né per originalità né per qualità intrinseca e risultano quasi essere il punto debole del sound della formazione statunitense.
Con queste premesse, potrebbe sembrare che Phantom :: Phoenix sia un fallimento, ma, in realtà, è un lavora che mette in mostra una maggiore maturità compositiva da parte degli Stellar Circuits, soprattutto quando la smettono di preoccuparsi di essere forzatamente iper-eclettici e si concentrano sul puro songwriting e sulle melodie. Ne escono così pezzi notevolissimi come l'ispiratissima e accattivante "Silhouette", l'esaltante e tirata "Corridor", "Same Page", forse il brano dove la scrittura è in perfetto equilibrio tra eclettismo e immediatezza, e la conclusiva "Paris" con le sue ritmiche nervose e l'ottimo cantato di Ben Beddick. Ma, in generale, tolti un paio di brani sottotono e qualche divagazione inserita un po' a forza, Phantom :: Phoenix risulta essere un lavoro piacevole e in buona parte riuscito. Manca ancora qualcosa prima di riuscire a fare il salto di qualità definitivo, ma le potenzialità rimangono ottime. Se amate le sonorità moderne e apprezzate una certa versatilità, date sicuramente un ascolto a questo lavoro.
Phantom :: Phoenix è disponibile in formato digitale e fisico sul sito ufficiale della label Nuclear Blast. E' disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni sulla band consultate il Sito Ufficiale.
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