Dvne - Voidkind (Recensione)

 La copertina dell'album Voidkind dei Dvne


Dopo avere analizzato i primi 10 anni di carriera dei Dvne in questo articolo, è arrivato il momento di parlare, finalmente, di Voidkind, la nuova fatica partorita dalla band franco-scozzese. Si dice sempre che per una band il terzo album sia un traguardo fatidico, uno spartiacque utile a capire se una formazione ha veramente i numeri o se le buone sensazioni generate dall'ascolto dei primi due lavori siano solo un fuoco di paglia. Aldilà della pura arbitrarietà del concetto, si può dire che i Dvne abbiano superato questo importante scoglio in modo alquanto brillante. Rispetto al disco precedente, la formazione è leggermente cambiata, riaccogliendo Allan Paterson non solo come bassista (ruolo che dovrebbe ricoprire anche nel prossimo tour), ma ereditando anche i compiti di secondo chitarrista da Daniel Barter, che su disco ricopre solo il ruolo di cantante (sempre in coabitazione con Victor Vicart); si registra inoltre l'arrivo di un nuovo tastierista, Maxime Keller, andando così a riequilibrare la quota francese in seno alla band.

Alla fine del precedente articolo mi chiedevo se con Voidkind i Dvne sarebbero rimasti nei comodi confini del proprio sound facendo in pratica un Etemen Ænka parte 2, se avrebbero puntato a una maggiore complessità o se, al contrario, avrebbero optato per uno stile più semplice e accessibile, scegliendo strutture più dirette e classiche. Già dai primi ascolti è facile intuire che la formazione franco-britannica ha optato per la scelta più rischiosa, quella di puntare a un sound ancora più complesso, ricco ed elaborato. La prima sorpresa, in tal senso, è quella di avere rimodulato in parte le coordinate del proprio sound: se la musica dei primi Mastodon rimane la stella polare per le composizioni dei Dvne [per esempio, alcuni riff presenti in "Eleanor" sono pericolosamente simili a quelli di "Naked Burn" della formazione di Atlanta], è innegabile che l'influenza dei Tool, in particolare nelle ritmiche complesse, ipnotiche e nervose (impressionante in tal senso la maturazione del batterista Dudley Tait, davvero sugli scudi), oltre che in alcuni riff circolari tipici della formazione americana, sia diventata un elemento decisamente presente nel songwriting del gruppo franco-scozzese, a cui si aggiungono sonorità provenienti dalla scena post-metal, soprattutto per quanto riguarda alcune melodie ariose, evocative e malinconiche.

Detto questo, la maggiore differenza rispetto ai primi due lavori risiede nel songwriting, con canzoni che diventano molto più ricche, dense, stratificate e piene di continue variazioni: se la ricchezza delle linee di chitarra era sempre stato uno degli elementi vincenti dei Dvne, in Voidkind il tappeto sonoro realizzato da Victor Vicart e Allan Paterson è davvero stupefacente, con le due chitarre che si rincorrono costantemente partorendo, all'interno di ogni singola canzone, un numero di riff davvero impressionante. Ottimo anche l'innesto del nuovo tastierista Maxime Keller: se in Etemen Ænka le tastiere erano utilizzate come semplice accompagnamento, in questo album diventano decisamente protagoniste al pari delle chitarre, donando un altro strato di complessità al sound dei Dvne. Ci sono alcuni momenti (ad esempio la coda finale di "Reliquary") dove il suono è talmente saturo, con ogni strumento (voci comprese) in evidenza, da potere essere apprezzato pienamente solo in cuffia.
Menzione d'onore anche per le parti vocali, da sempre un po' il punto debole dei Dvne: se alcuni momenti con voce pulita non convincono del tutto in un album dove, a sorpresa, è il cantato più aggressivo a dominare la scena, è importante sottolineare come siano state sfruttate in modo molto migliore le due voci, con un'interazione costante che ben si addice alla complessità di fondo del sound della band.

Voidkind è quindi un lavoro complesso, ricchissimo, a tratti quasi soverchiante, che richiede decisamente molti ascolti per essere apprezzato pienamente. Ogni brano racchiude tantissimi riff, melodie, variazioni di ritmo e atmosfera, passando in pochi istanti da momenti aggressivi e tirati a a veri e propri evocativi break dominati da tastiera e batteria soffuse. Insomma, non un lavoro immediato e di facile assimilazione, ma che evita, fortunatamente la pretenziosità e l'ermeticità di altre formazioni simili (ad esempio i The Ocean, che non ho mai digerito a fondo). In una tracklist comunque molto compatta, si segnalano "Eleanor" con i suoi riff di scuola Mastodon a dominare un brano epico e sorprendente con il suo break centrale, l'aggressività di "Reliquary" che sfocia in una memorabile coda finale, il contrasto tra i riff granitici della prima parte e i ritmi ipnotici della seconda parte di "Abode of the Perfect Soul" e, infine, le splendide ed esaltanti melodie di "Plērōma", non a caso scelta come primo singolo. 

Voidkind è un album ricchissimo e che mostra una band che ha raggiunto la piena maturazione, ma che sacrifica, in parte, quella esuberanza e spontaneità che aveva caratterizzato i primi due dischi e che li aveva resi ascolti immediatamente piacevoli ed esaltanti. Insomma, quell' "amore a prima vista" che, invece, con Voidkind non è scattato immediatamente, rivelandosi un lavoro che ha saputo mostrare tutte le sue qualità solo dopo molti ascolti. Detto questo, siamo di fronte sicuramente a uno dei dischi migliori ascoltati negli ultimi mesi e che, probabilmente, farà capolino in molte classifiche di fine anno.

Voidkind è disponibile in formato digitale e fisico sul sito ufficiale dell'etichetta Metal Blade Records. E' inoltre disponibile in formato fisico e digitale su tutti i maggiori store online. Il disco è ovviamente inoltre disponibile su tutti i maggiori servizi di musica in streaming, oltre che sulla Pagina Bandcamp della band. Per maggiori informazioni, visitate la Pagina LinkTree della band o il loro Sito Ufficiale.


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